Il sorriso che ho conquistato mi ha aperto una prospettiva di luce che non può scomparire.
Mi sono lasciata andare a emozioni insperate e inattese. E se anche ora mi spettasse la mia dose di malinconia, va bene: significa vita.
E il gioco e tutta quell'emozione che ho lasciato libera in due giorni di indimenticabile magica follia restano come una leggera luminosa risata.
mercoledì 31 marzo 2004
Rosa ornamentale
Pubblicato da narsil alle 22:44 |
lunedì 29 marzo 2004
Fine settimana
Denso, intenso e leggero. Emozioni che galleggiano nell’acqua e ti liberano. Sorrido, rido e guardo dall’alto i miei pensieri scritti, così piccoli, così legati. Con affetto guardo alla me stessa che ho lasciato indietro e mi sento libera. Libera di ridere e sorridere.
Pubblicato da narsil alle 19:39 |
giovedì 25 marzo 2004
Riposare dentro
Fidarsi, un poco. Ed è già pazzesco. Lasciarentrare, un poco. Quasi fantascienza. Mostrarsi, un poco. Paura.
Lasciare che l’affetto accarezzi le ferite. Che una carezza sfiori il cuore.
Vorrei.
Pubblicato da narsil alle 16:51 |
mercoledì 24 marzo 2004
martedì 23 marzo 2004
O forse no?
Ho scoperto che haloscan archivia i commenti dopo 3 mesi. I primi mi sono spariti pure dall’archivio.
Faccio così fatica a lasciare andare le cose e i legami che mi addolora persino perdere i vostri commenti :)
Ma è tutta vita, comunque. Le cose si vivono nel presente e poi si lasciano al loro corso. Dentro resta ciò che è diventato parte di te, rielaborato secondo il caso, e non più quello che era. Sei tu che resti, non le esperienze vissute, non le persone incontrate.
O forse no?
Pubblicato da narsil alle 00:29 |
lunedì 22 marzo 2004
Hispaniola (15) - Fine
16 agosto 2003
Il viaggio è finito. Stasera si vola verso casa. Oggi abbiamo pranzato da Burgher King.
Ripensavo alla sporcizia. Alla sporcizia che ho toccato fuori e dentro. E ho scoperto che mi fa meno paura oggi. E' la sporcizia dell'immondizia, della povertà e della vita troppo pulita, dell'ipocrisia della nostra società e delle nostre personali ombre. E della Vita stessa. Appunto. Non si vive senza sporcarsi. E' la sporcizia del contatto con la Terra, del mettere le mani nelle cose. Del non negarsi, e vivere.
E' una sporcizia che mi mette a contatto col mondo, che finalmente mi riempie di energia.
Pubblicato da narsil alle 14:38 |
sabato 20 marzo 2004
...
E’ esploso dentro un bagno caldo.
Intuito, adocchiato, vezzeggiato, titillato, sfiorato, cercato, inseguito. Immaginato, sognato, osservato, incoraggiato, accompagnato, assecondato, accarezzato… Ascoltato, pregustato, cercato, toccato, spinto respirato voluto subito assaporato sussurrato gridato. Ascoltato. Contemplato. Respirato.
Pubblicato da narsil alle 13:11 |
venerdì 19 marzo 2004
Oggi il vento
Oggi il vento si è insinuato tra il golf di lana e la mia pelle. Mi ha accarezzata e blandita con leggerezza e decisione. Inaspettato, come il mio goderne. Mi ha strappato brividi e sorrisi mentre camminavo verso la scuola indecisa se trattenere il fiato per concentrarmi sulle sensazioni della pelle, o se respirare a fondo per goderne profondamente l’emozione.
Pubblicato da narsil alle 23:22 |
Cosa rimarrebbe?
Dici che io “sento troppo” la vita?
Forse è così. E certo è una maledizione.
Ma non so se, anche potendo, vi rinuncerei.
Pubblicato da narsil alle 23:21 |
giovedì 18 marzo 2004
Hispaniola (14) - La Haina
15 agosto 2003
Ripartiamo da Santiago per Santo Domingo. Sergio viene con noi, assieme a Edgar che approfitta del passaggio per tornare a casa, a La Haina, una cittadina nei pressi della capitale. Ed è qui che ci portano. Era il porto e il polo industriale di Santo Domingo, prima che le industrie fossero dimesse e i commerci si spegnessero. Rimangono le strutture delle fabbriche, coi loro cancelli e muri grigi in questo mondo colorato, e le torri e le cisterne di una quasi-ex raffineria di petrolio, ora più una bomba a orologeria che una cattedrale nel deserto. Sta proprio accanto al percorso, ostruito da dighe di rifiuti, del fiume-fogna della città. Ogni tanto le autorità mandano qualcuno a fare lavoro di pulizia, per garantire il passaggio dell'"acqua" ma è evidente che sono passati anni dall'ultima volta. Accanto al letto del fiume-fogna i resti dei binari su cui correvano i vagoni che collegavano il porto alla città.
Appena arrivati, in ritardo rispetto al programma, Sergio e Edgar ci portano nel cortile di una ex fabbrica, affittato (solo il cortile) a carissimo prezzo giusto per l'occasione, dove ci aspettano tutti i bambini della scuolita che One Respe gestisce qui. Tanti, tantissimi bambini che ci aspettano impazienti e vestiti a festa. Ci fanno un'accoglienza strepitosa che ci coinvolge immediatamente. Hanno preparato per noi una festa: cantano e ballano, ci raccontano del loro paese e ci chiedono del nostro.
Viene a piovere, come sa fare solo ai tropici, una marea d'acqua grossa e pesante tutta insieme che in pochi minuti allaga tutto. Ci ripariamo come possibile sotto una tettoia mentre i bambini ci cantano gli inni nazionali dominicano e haitiano. E poi tocca a noi. Ed eccoci a cantare a squarciagola "Fratelli d'Italia", emozionati e commossi, fieri di essere italiani come soltanto in terre diverse e straniere ci si sente ("...Siam pronti alla morte, l'Italia chiamò!").
Mi tiro su i pantaloni per evitare che si inzuppino camminando nei 15 centimetri d'acqua che ricoprono il terreno, i bambini più grandicelli tengono in braccio quelli più piccoli, per non lasciarli seduti o sdraiati nel fango. Uno mi adocchia e approfitta per mettermi in grembo la piccolina che porta, evidentemente dopo un po' troppo pesante per uno scricciolo di sì e no sette anni. Mi ritrovo con questa bimbetta di forse un anno che mi abbraccia, si appoggia, e si addormenta con la guancia sulla mia spalla.
E poi torna il sole ed il caldo è ancora più umido. Si gioca e si mangia riso e pollo tutti assieme.
E poi via a visitare il barrio, che è poi tutta la città.
Edgar ci vive.
Noi pensavamo di avere finito, di essere sulla via del ritorno, di tornare a Santo Domingo, riposare un paio di giorni e volare in Europa. Non ci aspettavamo ancora visite nei barrios. E non ci aspettavamo di vedere ancora di peggio di ciò che avevamo già incontrato.
Riporto qui fedelmente le impressioni a caldo che ho annotato:
Qui vivono nella fogna, vera e propria, che ogni tanto allaga tutto, esonda e porta via l'intero quartiere. Compresa la scuolita (minuscola e sporca). Un'insegnante ci racconta che devono stare attente ai bambini più piccoli perché appena piove un po' di più il livello dell'"acqua" supera quello della loro statura e rischiano di affogare. Qualche bimbo ci segue nel giro per il quartiere. Ci fa un po' senso camminare tra loro. Tutti ci guardano. Passiamo la fogna. Mettiamo i piedi nella fogna. Passiamo sulle rotaie sospese sul terreno franato come su di un'asse di equilibrio. Fa un caldo infernale. Casette di latta peggio che altiforni. Meno male che la puzza dopo un po' non si sente più. La bambina dice di essere felice, nel suo vestitino rosa di festa in onore dei bianchi stranieri e strani che sono venuti qui per lei.
Accarezzi, abbracci, sollevi e stringi bambini che ti cercano e ti accolgono e che nessuno mai guarda. Non hanno nemmeno da mangiare. Un maiale in agonia sdraiato nella fogna legato a una corda. Cagnolini ovunque, così come i bambini. Tra mille pericoli e malattie. Soli con sé stessi e a sé stessi. E' tutto troppo per me.
Sporcizia ovunque. Mi sento sporca, sporchissima. Temo i pidocchi, i parassiti, il liquame in cui camminiamo, le manine sporche dei bambini che ti toccano, i piedini melmosi che ti si arrampicano addosso. Ti chiedono da bere perché tu hai osato attingere dalla tua bottiglietta d'acqua di riserva. Gli regali la bottiglia. Soprattutto perché non osi bere di nuovo da lì dopo che ci hanno bevuto loro...
Siamo sporchi, sporchissimi, sudati e sporchi nei vestiti appiccicati indosso. Sporchi fuori e dentro. Una sporcizia di povertà assoluta che senti addosso e dentro. Non se ne va via lavando. Non si toglie con il sapone.
E' quella sporcizia che da fuori si scava una strada dentro, che mette in luce la sporcizia che c'è nella tua anima e che tu ti scopri dentro come marchio indelebile nella nostra vita comoda e pulita, pulitissima.
Pubblicato da narsil alle 18:30 |
mercoledì 17 marzo 2004
Come al solito sono sospesa in mille emozioni.
E fatico a ordinarle. Persino di fronte a questo cielo azzurro nel rosa.
Pubblicato da narsil alle 19:02 |
martedì 16 marzo 2004
Tentando di restare fuori dal bozzolo
Mi stupisco sempre di come cambia il cielo la mattina con le nuvole o il sole o la nebbia o la neve e soprattutto con i mesi... l'altro giorno guidavo nel buio incontro alla luna, oggi luce (e nebbia) ovunque. Ehm... non è che abbia scoperto adesso le stagioni, solo ci pensavo :)
Ieri sera quattro extracomunitari, tre uomini e una ragazzina (ragazzina alla guida) hanno pensato bene di non vedermi e di tagliarmi la strada cozzando (ma poco poco) contro la mia auto in movimento vicino piazzale bologna. Hanno proseguito qualche centinaia di metri e poi hanno accostato in una viuzza buia. La mia amica mi consigliava di tirare dritto ma io volevo controllare se e quanto la botta si vedesse. Per cui ho accostato dietro di loro e sono scesa a guardare. Questi tipi un poco strani e sinistri lo erano, ma visto che la loro auto era sicuramente messa peggio e la mia quasi non accusava nulla, dopo qualche tentativo di scambio verbale e alcuni fermi sorrisi ho detto che andava bene così e me ne sono andata. Comunque avevano ammesso che era colpa loro. Nel frattempo la mia amica si era barricata in auto, chiusa dentro come in una cassaforte. Dice che sono incosciente.
Io dico che ci si preoccupa troppo. E che abbiamo troppa paura di tutto. Lo so bene io, che ho tanta paura anche e sopratutto di me stessa. Tanto da desiderare di chiudermi in un bozzolo per non sbagliare. Ma questo è un altro discorso.
Comunque ieri ho rivisto “Minority report”, e mi è piaciuto più della prima volta. E comunque Philip K. Dick è un grande. Pazzo, visionario, drogato, allucinato e grande.
Pubblicato da narsil alle 14:02 |
Hispaniola (13) - Santiago -
14 agosto 2003
Oggi ci hanno buttato in mezzo ai bambini. Una giornata nelle scuolite.
Ieri sera abbiamo fatto un minimo di programmazione, e non abbiamo capito nulla di cosa ci fosse richiesto di fare. Per cui arriviamo alla scuola (una di quelle già visitate nei giorni scorsi) impreparati. Ma a ben vedere nulla avrebbe potuto prepararci. E dire che molti di noi lavorano professionalmente coi bambini.
Il sole accecante è già altissimo prima delle 09.00, non ci sono zone d'ombra, nessun chiaroscuro. Solo una enormità di bambini in fila per l'alzabandiera e l'inno nazionale.
Ci aspettano, sono venuti apposta vestiti a festa. Subito una bimba mi si butta addosso e mi travolge rompendo il ghiaccio paralizzante del primo imbarazzo. Rimane per qualche secondo il timore della troppa vicinanza, dei pidocchi, dei parassiti, della sporcizia e delle malattie. Ma poi i bambini ti conquistano, e le meravigliose insegnanti con loro.
Ci dividiamo nelle classi di età. Giochiamo, sudiamo, studiamo e mangiamo con loro.
Solito riso e pollo, solo non fare caso all'igiene della cucina e alla quantità di mosche e altri insetti che vi banchettano prima di noi. Per molti di quei bambini è l'unico pasto della giornata, e quando non c'è scuola non si mangia.
I bambini sono belli, colorati, capricciosi, noiosi, entusiasti, affettuosissimi, decisamente autonomi e felici. Sono bambini.
Passiamo una delle giornate più felici del viaggio.
Ridiamo e sgridiamo, e a fatica cerchiamo di non averne addosso più di quattro alla volta. Ridiamo felici assieme ai bambini.
A sera, nella valutazione, Claudio pone le domande che avrei voluto fare anche io, e che avevo già fatto a MariaTeresa: ma voi cosa pensate di noi occidentali che veniamo qui a vedere? Raccogliamo le autentiche risposte confortanti di accoglienza, interesse, solidarietà e comunione. E poi Sergio (lo dicevo che questo ragazzo mi piaceva!) butta lì la sua opinione scettica. Dice che non capisce cosa veniamo a fare fin lì. Dice che forse non sappiamo come vivere e andiamo a cercarci i problemi degli altri, in parte almeno.
Ok, in parte.
Serata di festa e danze a casa di Willy, che ha una bella casa (ma basta riso, vi prego!). Gara di ballo e tentata fuga di coppie improvvisate.
Mi diverto un mondo e Sergio riesce pure a farmi ballare un merenghe.
Che bella giornata.
Pubblicato da narsil alle 06:31 |
domenica 14 marzo 2004
>E adesso come stai?
Io vivo sempre più di alti e bassi, diciamo pure vette e abissi :), e per ora gli abissi restano più profondi di quanto siano alte le vette.
Non mi è facile raccapezzarmi in questo altalenare. E tutto mi pare vero e falso, bello e brutto, giusto e incredibilmente ingiusto. Mi sembra di cogliere il motivo e il destino stesso del mondo e poi l'inconfutabile mancanza di senso della nostra (della mia) esistenza.
Non so come sto. Non so nulla.
Meglio di momenti passati: certo ora vivo.
Ma quanto sono stanca... di quella stanchezza che nemmeno una meravigliosa settimana sarda può alleviare.
Lo stesso sorrido e godo di ciò che la vita mi porta.
E non so se in ciò sia finzione o verità.
Forse solo confusione?
O semplice desiderio di condividere lo spazio dell'anima, voglia di amare e di amore, e di riposare in quell'abbraccio speciale l'anelito al quale mi sembra abbiano impresso a fuoco sulla mia carne e sul mio spirito.
Come in tutti, credo.
Pubblicato da narsil alle 23:06 |
Una ciambella
Il tempo non è lineare. E’ davvero una specie di ciambella in cui gli eventi si svolgono e si sovrappongono, rilanciando emozioni, sofferenza, rabbia e timori. Impastati di gioia ed entusiasmo.
Pubblicato da narsil alle 23:00 |
sabato 13 marzo 2004
Hispaniola (12) - Puerto Plata
13 agosto 2003
E vai di spiaggia!!
Paghiamo un pullman che ci porti a Puerto Plata, al mare. Grande gita assieme a tutti i ragazzi della comunità. Non scherzo se dico che siamo in 45 su un mezzo che in Italia potrebbe portarne forse 20.
Sono molto più eccitati di noi e urlano e cantano (urlando) senza posa. Riusciamo a incanalare appena il loro esuberante e chiassoso entusiasmo proponendo dei pezzi di Eros o della Pausini che conoscono anche loro e che così cantiamo all'unisono in due lingue diverse.
La spiaggia è dorata e il mare è quello caraibico delle cartoline. Acchiappo al volo l'opportunità di nuotare fino alla barriera corallina, con maschera e pinne prese a noleggio e una banana infilata nel costume (per darla in pasto ai pesci!). Non ci sono i colori e la varietà che trovi nel mar rosso, ma è una meraviglia. Mi piace nuotare e lasciarmi andare in queste acque calde e cristalline, sopra distese di coralli di tutte le forme, sfiorata da pesci che danzano in gruppo nel silenzio pieno e accogliente del mondo sommerso.
Un dominicano che affitta sdraio e ombrelloni mi approccia in un modo simpatico, poi dice che mi ha osservato e che sono una chica speciale. Mi chiede se torno l'anno prossimo «Chi lo sa?» «Speriamo che vinci la lotteria, così tu vinci i soldi per tornare qui, e io vinco te...»
Al rientro sul pullman siamo stanchissimi, soprattutto della vitalità ed esuberanza incontenibile dei ragazzi. Urlano SEMPRE. Abbiamo passato una giornata insieme a divertirci, scherzare e nuotare e non possiamo fare a meno di sentirci così DIVERSI. Possibile che questi stiano sempre insieme? Possibile non cerchino spazi individuali? Possibile non desiderino ogni tanto un po' di tranquillità? Ok, sono un po' esasperata dalla mia stanchezza e dalla mia troppo spinta introversione.
...Però anche loro ...che fanno finta di stare male e fermano il pullman simulando crisi d'ansia e coma diabetico... Mah!
Pubblicato da narsil alle 00:25 |
giovedì 11 marzo 2004
La forza del passato
Ho un caro amico che in genere non risponde alle mie mail. E tanto meno agli sms. Talvolta non risponde neppure alle telefonate. Poi si presenta con un volume in mano e mi presta un libro.
"La forza del passato" – Sandro Veronesi
«[…] Tutto mi è parso spaventosamente più plausibile. A vent’anni non sai ancora quasi nulla di te, poiché non ti sei mai ritrovato alle prese con nulla di veramente importante, e credi che la tua confusione sia dovuta a quello. Poi cominci ad accumulare esperienze, e da ciascuna ricavi le informazioni su te stesso che prima ti mancavano: all’inizio il ritratto che ne scaturisce è vago, ma via via si fa sempre più dettagliato e credibile, finché un giorno pensi di avere ottenuto abbastanza informazioni per poterlo considerar definitivo, e ci fai i conti. Lo accetti, innanzitutto, con fatica ti rassegni a tutti i limiti e a tutti i difetti cui esso ti inchioda, e nel rassegnarti provi per la prima volta un po’ di pace – sulla quale, proprio perché la credi scaturita da un lungo processo di conoscenza, cominci a fare affidamento; ma poiché continui ad accumulare esperienze, prima o poi ne arriva una che ti mette in crisi (puoi anche non sollevarlo, quel citofono: tanto, poco dopo tuo padre morirà all’improvviso, e poi un incontro misterioso ti terrorizzerà, e poi chissà che altro), dopodiché le informazioni su te stesso non riusciranno più a coesistere e cominceranno a combattersi furiosamente, dilaniando in poco tempo quanto era stato fin lì composto con tanta ingenua pazienza. In un soffio la rassicurante, sofferta illusione di sapere cosa aspettarti dalla vita viene spazzata via, e a sostituirla spunta il sospetto che d’ora in poi tu, ignoto a te stesso, dinanzi a ogni circostanza dovrai accontentarti di scoprire sul campo se gli amici ti sopportano o no, se sei tirchio o no, ridicolo o no, sapendo che gli altri attorno a te, potranno giudicarti in maniera molto severa anche se non ne hanno nessun diritto, e soprattutto sapendo che non cesserà mai più d’esser così; il sospetto che la vita che ti resta, in realtà, non sarà altro che questa quotidiana dannazione – un lungo ritorno a tentoni verso la confusione da cui eri partito.»
Pubblicato da narsil alle 12:21 |
mercoledì 10 marzo 2004
Hispaniola (11) - Santiago -
12 agosto 2003
Ci svegliamo tardi e Ste (desaparecida) nemmeno mi saluta «Vado prima io in bagno». Vabbè. E comunque buongiorno. E magari si potrebbe anche tentare un sorriso. Scendo incazzata a fare colazione.
Ma adesso sono qui che ascolto Catucho (ora marito di Natacha, assieme alla quale ha fondato One Respe) che cerca di parlare despacio (lentamente) in spagnolo cosicché noi capiamo bene. Ci racconta di loro, chi sono, cosa fanno, da dove vengono. Il difficile rapporto con lo Stato e con una Chiesa estranea e indifferente. Discriminazione di genere, razzismo e pregiudizio xenofobo antihaitiano. Per i dominicani (mulatti di varie gradazioni) l'haitiano è nero, ignorante e povero. «Parliamo degli haitiani ma potremmo parlare di noi stessi» «Parliamo di loro come i colonizzatori parlavano di tutti noi» La solita terribile guerra tra poveri. Chi mai potrebbe avere interesse a cambiare le cose?
Ci presenta i risultati di una ricerca che hanno condotto nelle loro scuolite sui bambini di 5-7 anni: oltre il 90% afferma di non piacersi, di essere brutto e negro e di desiderare di cambiare colore.
Oggi pomeriggio è previsto un giro in città.
******
Che giornata piena.
Credevamo di andare diretti fino al centro di Santiago. Invece, accompagnati da questi giovani ragazzi della comunità, entusiasti e disorganizzati, ci siamo prima fermati a visitare una delle chiese della zona. Una delle eleganti, linde, opulente chiese per i ricchi. Scherno e disprezzo negli occhi scuri dei ragazzi.
Poi prendiamo l'autobus che ci porta in centro. Tra uno scossone e l'altro (sospensioni?? che roba è??) scorgo sotto un ponte un agglomerato di baracche che mi stringe il cuore. E ovviamente i ragazzi ci fanno scendere alla prima fermata, vogliono portarci lì, a vedere, a sentire.
E' forse il posto peggiore che abbiamo visto sin qui.
Zero dignità.
Sono tutti macchiati, dalla sporcizia e dalle malattie.
Una ragazzina sta, vestita, sotto il debole getto di una canna che porta dell'acqua maleodorante come una doccia improvvisata. Non si muove da lì sotto.
I cani scheletrici sono impressionanti.
E' tutto come in un girone dantesco, infatti al centro c'è una fossa profonda acquitrinosa, una voragine, ai lati della quale a spirale si aggrappano abitazioni di lamiera, rifiuti, cani e uomini. Uomini? Preferisco guardare i cani.
Ci osservano e non sorridono. Vogliamo scappare via. Chiediamo ai ragazzi di portarci via.
Scappiamo.
Ma il problema è solo nostro.
Riemersi dall'inferno, Myriam in lacrime, altri a ridere esorcizzando, aspettiamo l'autobus alla fermata sopra il ponte. Sotto di noi, i Dannati.
Chiedo a MariaTeresa (15 anni, sorella di Sergio) che cosa sente lei, che cosa pensa di noi... «Cosa sento io? Vorrei piangere come Myriam» ma lo dice fredda «Mi vergogno che il mio popolo viva così e che il mio Paese lo permetta. Sono contenta che degli occidentali ricchi, che hanno tutto, vengano qui a vedere noi e si interessino di come stiamo». Il suo tono non allevia il mio disagio.
Col cuore pesante giriamo per il centro città pensando ad altro. Sull'autobus al rientro facciamo conoscenza con un bimbetto di otto anni, che rientra alla sua baracca dopo una pesante giornata di lavoro come garzone di un meccanico. E' un bambino fortunato.
E poi la cena...
Che se non fosse finita in musica e danze come sempre, non la avremmo retta.
Il programma prevede che siamo noi a cucinare, ospiti in casa di Mary, 25 anni carina e simpatica, studentessa all'università che si paga con il lavoro per One Respe, dove coordina la sezione salute. Vive in uno dei quartieri poveri visitati ieri. Uno di quei quartieri che abbiamo girato sotto un sole pazzesco, dove l'acqua si raccoglie nei bidoni aperti per strada e dove la fogna è il canale dove giocano i bambini.
Alcuni di noi sono già là, partiti con il primo turno di minibus, assieme alla spesa fatta nel supermercato del centro: passata di pomodoro, pasta, base per pizza, formaggio e olive.
Noi li raggiungiamo con enorme ritardo, anche perché rimaniamo senza benzina a metà tragitto. Vabbè: passiamo il tempo cantando e cercando di arginare l'entusiasmo esuberante di Edgar e Willy che non vedono l'ora di fare festa.
Saluto Mary ed entro in cucina senza guardarmi molto attorno (come mio solito). Mi soffermo sulle facce dei ragazzi già lì. Sudate e tirate. Mi indicano la "cucina", il "lavandino", le "pentole", il "fornello"... Vabbè.
Più che altro è che non c'è acqua.
Ci hanno detto di preparare per una trentina di persone. Ma ci accorgiamo subito che questa cena è un evento, e le persone fuori saranno già almeno cinquanta. E' una grande festa.
E' un incubo, ma è anche una festa. Cuciniamo. E aspettiamo che qualcuno vada a recuperare delle bibite o della birra, perché noi l'acqua dei bidoni proprio non possiamo berla. E poi ci ha fatto bene bere birra. Guardo la "cucina", la "casa" e il "bagno", e guardo Mary. Mary vive lì.
Musica a palla e sensualissime danze nella calda e stellata notte di Santiago.
Pubblicato da narsil alle 19:50 |
martedì 9 marzo 2004
>Ti sei riposata?
riposata tanto
caminetto sempre acceso (e lo stesso un freddo impossibile :) con divano posizionato a non più di 30 cm.
immagine cardine della vacanza: 4 paia di piedi in calze colorate appoggiate sul pianale del camino, musica in sottofondo, chiacchiere, e la magia del fuoco...
altro non so
altro non c'è.
rimango dell'idea di essere fatta male, non adatta a questo mondo
Pubblicato da narsil alle 00:27 |
domenica 7 marzo 2004
Villagrande Strisaili
Ospite di un amico originario di lì.
Abbiamo trascorso una settimana a passare da un caminetto all'altro, dentro un’ospitalità sconvolgente, un calore impossibile tra la neve infinita che scendeva. Specialità gastronomiche condivise nella quotidianità di un paese che è tutto una famiglia.
Ho davvero pensato che la vita vale sempre la pena, anche se nelle ombre io lo scordo.
Sono appena tornata, non sono sicura di essere tornata tutta intera. Forse solo cambiata. Che fuori sia solo luce e bello.
Pubblicato da narsil alle 19:54 |
Hispaniola (10) - Santiago -
11 agosto 2003
Sono la Tia.
Ho guadato una fogna (e ci ho messo un piede dentro).
Sole sole sole sole. E mi scopro con la mente altrove, a pensare a occhi neri.
Vorrei ricordare e descrivere tutto. Non le cose. Le sensazioni contraddittorie che sento.
Voglio piangere ed essere accolta. Aiuto.
Sergio ha deciso che io sono la tia (la zia del gruppo). Sergio ha 18 anni appena, e una vita spesa nei barrios. E' uno dei figli della fondatrice della comunità che ci ospita. E' decisamente furbo, e anche carino. Chiacchieriamo mentre giriamo per gli insediamenti più poveri. Ha un'aria di sfida negli occhi. Non capisce cosa siamo lì a fare. Anzi capisce bene che non lo sappiamo nemmeno noi.
Pomeriggio in un altro "quartiere".
Bimbi soli che crescono passando il tempo.
Alloggi costruiti con rifiuti e lamiere, terra e vicoli ciechi ai due lati del canale.
Se offri una caramella: prima la guardano, poi la annusano e infine la portano alla bocca. Anche gli adulti.
Sono sempre imbarazzata.
Siamo invitati tutti a cena a casa di Natacha (la madre di Sergio). Ha una bella casa e mangiamo bene. Ci fa vedere il laboratorio dove costruiscono le candele colorate che vogliono vendere all'estero per finanziare le loro attività.
Al rientro cerco un po' di solitudine seduta sul dondolo sul balcone. Che buio. Che cielo. Che bello.
Pubblicato da narsil alle 11:50 |