martedì 10 febbraio 2004

Hispaniola (3) - Santo Domingo

4 agosto 2003

Ho qui davanti a me quattro persone, quattro richiedenti asilo, quattro uomini di Haiti fuggiti dal loro paese verso l'unico paese confinante, che non li vuole. Non hanno alcuna speranza di vedere riconosciuto il loro status di rifugiati politici.
E' incredibile stare qui a parlare, tra francese e spagnolo, con queste persone che hanno perso tutto, abbandonato la famiglia e rischiano la vita perché hanno voluto lottare per i loro diritti e per il loro Paese. Hanno una forza irruente. Una statura che ci fa sentire piccoli piccoli. Sono neri come la notte. Mi sento a contatto con una realtà più grande di me. Quattro uomini costretti a mendicare come cani anche per il cibo.

Veloce ed improvvisa sortita in uno dei quartieri popolari di Santo Domingo. Non certo tra i più poveri. Allegro mercato ovunque, tra rigagnoli di acqua sporca e immondizia. Bassura ovunque qui. Non c'è proprio il senso della pulizia. Anche dove si potrebbe. Considerata la temperatura e l'umidità vi lascio immaginare il tanfo. Cani pelle e ossa e traffico caotico, rumoroso e insubordinato. Tanta tanta tanta gente e montagne di scarpe ammassate. Bancarelle con cibi improbabili. Tutti vendono qualcosa, ma chi compra? Non capisco.
"Americani?" "SpikInglish?"
Troppo caldo, troppa gente, troppo rumore.
E guardare sempre per terra, dove metti i piedi: buchi, inghiottitoi, tombini aperti. E i fili della corrente!! Appesi, deviati, derivati, accartocciati, pendenti, scaricano a terra.

Sono già piena ed è solo ora di pranzo.

Visita al quartiere sul fiume, o meglio nel fiume, visto che è costruito nel letto asciutto e sugli argini, e soggetto a periodiche naturali inondazioni. Questo sì uno dei barrios più poveri. Costruito sull'immondizia, nell'immondizia, da persone che sono loro stesse immondizia, senza documenti, mai nate, non esistono. Il fiume di Santo Domingo è la fogna della città. Il colore è giallo-marrone, lo stesso dell'uccello agonizzante con cui giocano alcuni ragazzini tra le montagne di rifiuti dietro le case di lamiera, una sotto l'altra. Sorridono tutti.
"Americani?"
Nel grigio sporco dell'immondizia ecco un'oasi di colore e pulizia: una "scuolita", gestita da volontari aiutati dai gesuiti, appena tollerati dalla chiesa corrotta e connivente col potere locale. Maestre splendide e bambini con quaderno in mano e penna in bocca. E basta. E' pure uscito il sole. Ricominciamo a respirare e ci accorgiamo ora che avevamo smesso.
Andiamo verso l'abitazione della nostra maestra preferita. Non ci sembra vero che viva lì, anche se lo sappiamo. Tanti bambini che si fanno fotografare incuriositi da queste strane persone bianche in un posto da neri. Ma quanti bambini ci sono? Uno non lo scorderò mai. Pancia gonfia ed occhi gonfi spurganti pus bianco che risalta ancora di più sul marrone della sua pelle scura ricoperta di fango. L'unico che non sorride.
I sorrisi dei bambini e l'accoglienza degli adulti. E la sensualità della maestra che balla. E la voglia di vivere. Lascio entrare. Mi affatico, tanto. Ma sono forze che mi lavorano dentro.
Elisa che parla con la bambina del fiume. Daniele che sfida a pallacanestro i ragazzi della collina. Le fogne per strada. La puzza. E ancora i sorrisi e l'accoglienza. E tutto il nostro imbarazzo ad essere lì, bianchi e ricchi e pieni di finti problemi. E loro che ci ringraziano. Ma non lo vedono quanto è assurdo? Ma forse ridono di noi. Forse ci sorridono accogliendoci perché loro sanno viversi la vita che hanno. Perché godono e vivono ogni cosa. E noi non lo sappiamo fare. Sì, lo so: sono le mie proiezioni mentali.

Bello il rientro in forse: non troviamo bus o taxi che ci riportino nella zona civile della città. Alla fine corsa folle ammassati come al solito in quindici in un minibus scassato per otto. Insieme sciolti. In fondo tutti attraversati dallo stesso sentire mentre percorriamo una città che non è più quella di prima.
Soldati superaccessoriati di mitra sopra i tetti. Macchine in vendita ad ogni angolo. Ponte avveniristico e i giochi panamericani.
Grazie di questa opportunità.