lunedì 23 febbraio 2004

Hispaniola (7) - Dajabon/Ouanament -

8 agosto 2003

Notte difficile ma bella quella passata. Qui a Loma de Cabrera dormiamo in letti a castello in un camerone fanciulle che oltre a non avere, come usuale, i vetri alle finestre, non ha nemmeno persiane o tende. Solo una specie di rete zanzariera. Ma tanto zanzare, gechi, cucarache e ragni (enormi neri e carnosi) sono già dentro. Serena ha una paura atavica dei ragni. Le ci deve essere voluto tutto il suo coraggio per affrontare la notte, anche se la abbiamo tutta avvolta con una retina bianca anti-insetti, gentilmente offerta da Marghe la previdente. Mi piace dormire tutte assieme. Le confidenze della Vale che dispensa massaggi e il senso pratico di Elisa, con il bagaglio invaso dalle formiche.

Quanto non mi piacciono le banane cotte! E tanto meno questi surrogati delle patate, filamentosi e stopposi. Mi manca il pane. E pazienza se l'acqua sa di tutto fuorché di acqua.

Oggi abbiamo visto e vissuto talmente tante cose che non posso certo metterle tutte sul foglio. Non riesco nemmeno a tenerle tutte dentro la testa.

Chi c'era capirà, chi non c'era cerchi di ascoltare le emozioni e si accontenti di qualche cenno di colore buttato lì.

Questa mattina il mercato di Dajabon. Il caos africano con la frenesia occidentale. Davvero se non ci fossi passata dentro non ci crederei: non crederei possibile infilare carriole stracolme di ogni tipo di merce in mezzo (anzi: dentro) a un insieme compatto, denso, impermeabile di persone che si muovono, non si sa bene come, e urlano e spingono e si affrettano. Si affrettano tutti avanti e indietro, veloci e instancabili. Gli uomini dietro alle loro carriole sempre a rischio di ribaltarsi e le donne sotto carichi enormi portati con eleganza sulla testa. Avanti e indietro, dentro e fuori la frontiera. Mai fermarsi: sfruttare al massimo le ore di mercato concesse. Fare fruttare al massimo la finestra di scambio tra la "ricca" Repubblica Dominicana e la poverissima Haiti.

C'è chi al ponte della dogana preferisce il fiume, che si guada lungo una linea curva per poi arrampicarsi sull'argine dominicano. Intanto alcune donne lavano i panni in quella stessa acqua marrone.

Passiamo in Haiti. Sembra quasi che di là dal ponte faccia anche più caldo. Qui il mercato è deserto. Meno male che non piove, altrimenti saremmo costretti a nuotare nel fango. Qui manca tutto. Beviamo l'acqua dai sacchettini di plastica, tipo razioni di emergenza dei militari. L'unico mezzo a motore (eccetto qualche motorino) che si vede in giro è uno schoolbus giallo americano, proprio come quelli di Forrest Gump. E infatti è sopra questo bus che ci fanno salire i nostri accompagnatori, che ci vogliono fare vedere la città, il loro difficile lavoro lì, la missione delle suorine colombiane, la scuolita (una goccia d'acqua nel deserto) e la fabbrica occidentale della zona franca. Questi gruppi industriali che con la scusa di portare lavoro nel terzo mondo trovano come sfruttare manodopera a bassissimo costo, non pagare le tasse e liberarsi di scarichi tossici e rifiuti industriali non facilmente smaltibili in patria. Tutto legale. E ragazzi haitiani che fanno il bagno nel fiume inquinato dagli scarichi.

Dopo un'estenuante attesa e contrattazione alla dogana haitiana riusciamo a ripassare il ponte. Rientriamo in RD. E ci prende la strana sensazione di sentirci a casa. E ci accorgiamo allora del senso di estraneità che avevamo in Haiti. E di quanto sia "diverso" il mondo al di là del fiume.

Siamo stanchi e troppo pieni. Abbiamo voglia di pensare a noi e di berci una birra seduti a chiacchierare e ridere al fresco sui gradini dei marciapiedi di Loma.