Stavo ascoltando l’affetto per un amico (premetto e ammetto che ho un modo assurdo di vivere gli affetti, ma che a me sembra assolutamente “normale”) e mi sono ritrovata a scrivergli parole che mi guardano con serenità:
«[…]Ho lasciato che occupassi un bel po' di spazio dentro me: molto perché te lo meriti, un po' perché ne avevo tanto libero.
Le tre persone che ho perso erano il mio Sole e le due stelle più brillanti del mio cielo. Mi sono trovata sola in una notte buia, a inventarmi Luna. Ho imparato, lo sto facendo, a farmi luce da me.
Non maledirò e non ringrazierò mai abbastanza il destino per questo.
Erano le persone che occupavano anche molto del mio spazio affettivo, erano quei pensieri caldi che ti fanno compagnia sul tram, quella rete di fiducia che ti basta anche solo sapere che c'è, quel sentire che ti culla il cuore. Erano le persone di cui faticosamente ero arrivata a fidarmi, le uniche con cui finalmente non temevo più di mostrarmi me stessa. Storie tutte molto diverse, anche se legate da un filo comune.
Comunque per un po' lo spazio hanno continuato a occuparlo tutto loro, forse anche più di prima, che il dolore del distacco reclama più attenzione di quella che gli spetta. Un po' per volta, però, li lascio andare, a mano a mano che accetto la sfida di giocarmi nel vuoto. Per una che vive praticamente solo di affetti come me (come tutti, forse) è una sfida mica da ridere.
Non credo che smetterò mai la fame di riempire di calore il mio cielo, ma questa tensione non diventa bisogno insopprimibile: non riuscirei mai a fagocitare affetti solo per riempire vuoti.[…]»
sabato 31 gennaio 2004
Non riuscirei mai a fagocitare affetti per riempire vuoti
Pubblicato da narsil alle 00:41
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