giovedì 16 settembre 2004

Io e l'automobile. (O forse: La mia auto non ama gli stranieri.)

Tranquilla mi sposto nel traffico verso la dimora di quella pazza di un'amica che mi invita a cena. Soddisfatta della mia performance in preparativi d'uscita di sette minuti esatti mi ritrovo subito imbottigliata nel traffico caotico della Milano di punta. Mi armo di pazienza. Accendo la radio. Penso alle mail ricevute e inviate. E al mio bisogno di comunicare. Al mio vivere di relazioni. Mi hanno detto che tutti vivono di relazioni. L'uomo è un animale sociale, in fondo. Quasi riesco a sbagliare strada. No, dai, che già c'è traffico. Io voglio bene a quell'uomo. Che bello questo inatteso invito a cena. No, niente giornale radio che di Iraq non ne posso proprio più. Certo che mi presento sempre a mani vuote...magari mi fermo a prendere qualcosa...ma già sto facendo tardi con tutto questo traffico...Evvero! Lo sciopero dei mezzi! Ecco... Ecco il motivo di tutte queste auto. Se ci pensi è curioso che degli esseri di carne, perfette macchine motorie, si rinchiudano in scatolette di latta con strani pedali e leve e ruote e lucine da controllare. Movimenti innaturali divenuti riflesso automatico. Labene? Sono ferma sul ponte, faccio un po' tardi... Gira per Giambellino, che almeno eviti il casino di piazza Frattini. Che storia poi il telefonino. Si trova pure il modo di scambiarsi emozioni in formato sms. Se non è adattabile l'Uomo! Ma le emozioni si ritrovano sempre. Sempre uguali, da sempre. Amore, gioia, paura, egoismo (che in ultima analisi poi è paura di morire, di perdere tutto). In effetti Giambellino è scorrevole. Dove mi ha detto che devo girare? Piazza Tirana. Eccola lì in fondo. Dicevo che siamo fatti male, troppi gradi di libertà. Riusciamo sempre a renderci la vita difficile. Ma forse ora ricomincio a pensare che il bello sta proprio lì. Piazza Tirana, giro. Mi fermo diligente alle strisce pedonali, anche perché c'è un ragazzo che attraversa. Sono ferma da dieci secondi, sto quasi per ripartire. Ovviamente mi tamponano. Che botta. Accosto. Doppie frecce. Il tipo dietro scende e mi guarda dal finestrino. Parla in una lingua simile all'italiano. Vabbè. Esco. Niente di grave, sembra. Ma io non so valutare... Chiedo di fare la constatazione amichevole. Rifiuta. Chiedo di avere i suoi dati, rifiuta. Dice che tanto è colpa sua, ma che tanto non è successo nulla. Il tipo si rifiuta di darmi i dati e inizia con le parolacce inframmezzate dai soliti complimenti sinceri uè bella, sei bella. Percepisco la presenza di un passante interessato alla scena e spero tanto che intervenga a darmi sostegno. Si avvicina un uomo stramagro vestito da ragazzo, innumerevoli orecchini e parlata biascicata. Che è? Vi siete presi dentro? Hihihi... (cazzo c'è da ridere poi?) Ehi bella... (edaje) Guarda che questo è un amico, è uno tutto regolare... Vuoi il mio di numero di telefono, lo vuoi?? E l'altro che continua con le belle parole inframmezzate dagli uè bella. Capitolo. Ok. Me ne vado. Ciao bella, uè. No la mano non la stringo. Me ne vado e basta. Con l'impressione di essermi lasciata intimidire. Di essere scappata. In macchina mi viene quasi da piangere. Vabbè. Lo racconterò a Labene e ci faremo due risate. Perché mi viene voglia di avere un uomo accanto? Come se non fossi capace di badare a me stessa da me. Ecchecavolo, un compagno di via a cui raccontare le mie futili disavventure una volta rientrata a casa. E poi magari giocarci pelle a pelle, che ci sta sempre bene. Ecco casa Labene. Recupera il sorriso, ricomponiti. Eccomi. Va là, pronte a sparlare a tutto campo del mondo e della vita. Futili disavventure e assurdi desiderar di uomo compresi.