7 agosto 2003
Sveglia all'alba per trasferimento a Dajabon.
Dove giusto l'altra sera c'è stato l'ennesimo massacro di immigranti haitiani. E inquietante è la reazione di tutti coloro ai quali presentiamo il nostro itinerario di viaggio:
- "Qual è la vostra prossima tappa?" "Andiamo a Dajabon, per vedere la frontiera." "Ah. State attenti."
- "Che bell'esperienza che state facendo! E dove andate adesso?" "A Dajabon. E pensiamo di passare in Haiti." "Dajabon? ...fate attenzione!"
Ok. Non possiamo fare a meno di pensare che esagerino. In fondo se un gruppo di giovani europei va a Dajabon significa che non può certo essere un posto pericoloso...
In tre turni di taxi-minibus ci portiamo coi bagagli alla stazione degli autobus di Santo Domingo. Attendiamo tra la folla dei dominicani in partenza, accompagnati da uno schermo che trasmette "shock tv" in inglese, sottotitolato in spagnolo. Apprendo che pompiere si dice bombero. E io che pensavo significasse terrorista...
Prendiamo posto sul pullman. A bordo fa freddo quanto fuori fa caldo. E ovviamente l'aria condizionata non è regolabile. Tutto piuttosto sporco, appiccicoso e scassato. Ma almeno ognuno ha il suo posto e non ci dobbiamo ammassare in cinque su due sedili. Appena parte ecco l'immancabile diffusione della radio al massimo del volume. In questo paese il silenzio non esiste. E tutti qui non è che parlino: urlano. E la radio e la musica si sentono sempre al massimo del volume. AAARGH!
Sale un omone panciuto che accompagna una donna molto più giovane ed un bambinetto. "Maremma! Quanto tempo che non sentivo parlare italiano! Di dov'è che venite voialtri?" E' un fiorentino trapiantatosi nell'entroterra dominicano 6 anni fa. Chiacchiero un po' con lui. Ha una gran voglia di parlare.
Ha messo su una fabbrica di scarpe, nel senso che le fa assemblare qui e poi le commercia all'estero, se ben capisco.
Dice che nella Repubblica Dominicana ci sono diversi italiani che lavorano nel turismo e soprattutto tante ville dei politici corrotti. Dice di apprezzare il nostro turismo alternativo che porta soldi al paese anziché arricchire i tour operator esteri.
Dice che la RD è uno dei centri del narcotraffico, del traffico d'armi e del riciclaggio e pulizia del denaro sporco. Tanto qui non ti chiede niente nessuno. Non capisco se sa quello che dice o se parla per luoghi comuni, boh.
Dice che in ogni caso non c'è poi tanta gente che sta male qui, la povertà estrema non esiste e certo nessuno muore di fame... Penso che faccia finta di non vedere. Penso che abbia quell'atteggiamento naturale di difesa tipico di tutti noi. In fondo nessuno muore di fame qui... Quante volte allontaniamo da noi un problema in questo modo? E' un modo per esorcizzare una situazione che ci crea disagio. In fondo nessuno muore di fame a Santo Domingo... Già.
Mi pare una brava persona, e mi presenta orgoglioso il figlio.
"Ma dove state andando ora?" "Dajabon" "Dajabon?? E che ci andate a fare?? Statevene attenti..." Eddai, ci risiamo.
Il resto delle cinque ore e mezza di viaggio lo trascorro leggendo, riposando, maledicendo la radio al massimo del volume e tentando di conversare con la mia vicina, una dominicana sui 45 anni (ma chi può dirlo?) che mangia in continuazione attingendo (indovinate? riso e pollo!) dalla schiscetta che si è portata.
Mi dice anche che parlo bene lo spagnolo, e da questa affermazione capisco che sta cercando di mostrarsi simpatica ed amichevole.
giovedì 19 febbraio 2004
Hispaniola (6) - Verso Dajabon -
Pubblicato da narsil alle 19:23
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