venerdì 6 febbraio 2004

Hispaniola (1) – Santo Domingo –

2 agosto 2003

Scrivo seduta sulla spiaggia bianca. Spiaggia dei dominicani. No turisti. Infatti non c'è nessuno che chiede soldi o che cerca di venderti l'impossibile né che ti offre prestazioni sessuali particolari o di portarti a letto la sua bambina 11ennne.
Accanto a me Wendy, del servizio per i rifugiati, incinta di cinque mesi, e la bimba della sua collega dal nome impronunciabile. Ecco il figlio, Jarife, che esce dall'acqua nella sua maglietta rossa. Qui pare si usi fare il bagno vestiti. E poi rimangono tutti ammassati nella striscia di mare dove si tocca, perché praticamente nessuno sa nuotare. Mi hanno detto che il nuoto è una prerogativa occidentale. Mah.
Prima c'erano le nuvole da pioggia ma ora l'azzurro è limpido ed il sole alto, altissimo. Se lo cerchi non lo trovi perché è proprio proprio in cima al cielo, diritto sopra di te. Il fascino dei tropici.
I bimbi sono sempre belli, ma questi mulatti sono meravigliosi.
Fa caldo, ma è l'umidità della stagione delle piogge che ci fa boccheggiare.
Per ora questo è un Paese sereno allegro e divertente. Tutti sorridono e vivono soft.
Il sesso qui è un canto, un gioco, una danza.
Per lo più ci sono unioni naturali, pochissimi matrimoni. E dei matrimoni solo due su dieci sono celebrati in chiesa. E dire che siamo in uno dei paesi registrati come tra i più cattolici del mondo. La stessa Wendy e la sua collega hanno figli ma non sono sposate, non hanno nemmeno un compagno. Qui è normale, naturale. Qui sono legati alla terra, fortemente legati alla terra ed alla carne.
Penso tanto a Milano e a quello che non può essere. Mi sembra che il dolore per la perdita dell'amicizia con R. sia diventato più sopportabile, probabilmente perché ho accettato l'irreversibilità della cosa. M continua a togliermi il fiato stringendomi lo stomaco, ma anche qui ho accettato che la mia vita è cambiata.
La compagnia è preziosa e questo viaggio provvidenziale e unico.
Chitarra e canzoni sulla spiaggia.