lunedì 17 novembre 2003

Lavata

Gli ultimi 20 giorni sono stati un incubo. Che ho tenuto per me il più possibile. Testimonianza ne è la condizione della mia camera da letto: una montagna di vestiti sbattuti per terra. Il resto della casa, che riceve ospiti, mantiene un minimo di decoro e l'ordine che sempre mi contraddistingue, ma la camera da letto...: è il degno contorno del gorgo emotivo che mi scava dentro. Oggi mi sono concessa di sciogliere in pianto tensione e fatica, ammettendo tristezza e demoralizzazione. Sofferenza. Già, perché sto soffrendo ancora, da morire. E non importa che ci sono cose peggiori nella vita, e non importa che in fondo non posso lamentarmi di nulla, e non importa che ho la vita davanti e che non mi manca nulla. Soffro. E razionalizzare e relativizzare non serve a nulla se non lo fai con una consapevolezza, un sapere che ti viene da dentro. Rimane solo un tappo, una cappa lucida da mettere a coprire il caos interiore, una fatica continua da nuotare controcorrente per sfuggire al gorgo che ti risucchia, che tu non guardi, non vuoi vedere, ma sai che c'è. E dopo tutta quella fatica ti ci ritrovi più vicina di prima. E allora basta. E allora basta fare finta di farcela, basta ammantarsi di positività, mostrarsi forti, rifuggire la compassione. Degli altri e mia. E dalle lacrime, come talvolta capita, ne sono uscita lavata, come dopo un bagno caldo, o come dopo un bel massaggio o una faticata in montagna. Ho lasciato giù lo strato superficiale di pelle, ormai usurata e sporca, e ho trovato il coraggio di mostrarmi a me stessa nella pelle nuova, delicata fragile vera sofferente pelle.